VERDE e PROGRESSISTA

 

La città nelle sfide del presente e del futuro

Le sfide che la nostra città ha di fronte richiedono, insieme ad azioni immediate e a una gestione del presente efficace e incisiva, una visione di lungo periodo, capace di governare la complessità dei problemi e di far dialogare e integrare la cultura con il lavoro, la sanità con un piano di mitigazione climatica, le politiche pubbliche per la residenza con il turismo, il welfare con il sostegno all’autonomia delle persone. Ciò che dobbiamo evitare, come ammonisce la lezione della pandemia, è di tornare a “come eravamo”.
Venezia, al centro dell’attenzione internazionale, può divenire un modello di risposta all’emergenza climatica e ambientale, grazie all’innovazione, alla ricerca e all’avvio di programmi di transizione energetica, di riconversione dei sistemi produttivi e infrastrutturali, di riqualificazione delle realtà urbane e rigenerazione dei territori, per una qualità di vita migliore e per garantire un futuro alle nuove generazioni. La stessa possibilità di mitigare gli effetti dei mutamenti climatici e di adattare la città rendendola resiliente e lungimirante dipende da questo doppio agire: nel presente, con le sue urgenze ineludibili, ma consapevoli del futuro che viene.
Nulla di tutto ciò è possibile senza mettere al centro la cittadinanza e senza includerla nelle decisioni vitali (nel caso, perdurando l’emergenza pandemia, anche in forme possibili attraverso tecnologie che vanno utilizzate proprio per questo: non solo arene virtuali, bensì forme di agorà on line, da rendere accessibili a tutti, cosa utile comunque, anche al di là della contingenza emergenziale) anche se è soprattutto attraverso gli strumenti di partecipazione diretta e i luoghi pubblici concreti in cui si possa tornare a incontrarsi. che confidiamo di poter rilanciare i percorsi democratici. L’isolamento vissuto nei mesi scorsi ci ha fatto riscoprire il bisogno di socialità, di riprendere pratiche di convivenza e scambio, emerse come esigenze vitali e insopprimibili.
Purtroppo, molte amministrazioni – e quella di destra di Brugnaro in particolare – hanno perduto la capacità di essere proattive, intendendo l’amministrazione della cosa pubblica non come semplice procedura gestionale che consente o diniega, ma come vera e propria capacità/competenza di agire direttamente nei processi di trasformazione territoriale (e non solo), come luogo che aggrega attraverso la partecipazione competenze e progettualità.

 

Chi siamo: cittadini e cittadine in campo

Noi, verdi progressisti, cittadine e cittadini provenienti da esperienze civiche, politiche, culturali, associative, ambientaliste e progressiste condividiamo questo bisogno di cambiamento in un percorso che ha incontrato molte altre persone e soggetti politici a sostegno della candidatura a sindaco di Pier Paolo Baretta, emersa come punto di sintesi tra un ampio arco di forze. Serve infatti una vasta unità, fondata su accordi precisi e su inevitabili ma chiari punti di mediazione, per liberare Venezia da chi oggi la governa in modo inadeguato e iniquo e la occupa in modo becero, prepotente – e minaccia di farlo per altri anni ancora, ancora peggiori.
Siamo persone interessate al futuro delle nostre comunità, alcune elette nei Consigli di Municipalità, altre che partecipano alla vita di formazioni politiche come Articolo Uno, Possibile, Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, Verdi – Europa Verde o a gruppi di impegno civico.

 

I PUNTI CARDINE PER UNA CITTÀ MIGLIORE

Il Comune come Casa dei cittadini

Il rapporto dell’Amministrazione con i cittadini va riformato, con uno stile di governo radicalmente diverso dall’attuale, fondato sulla partecipazione, coinvolgendo la città nelle decisioni vitali e per sviluppare una visione condivisa del futuro. Per questo c’è bisogno di un nuovo modello di decentramento amministrativo con risorse e poteri adeguati, che faccia perno sulle Municipalità, per arrivare fino all’unità minima dei quartieri, cuore pulsante della comunità. Trasparenza e comunicazione devono essere gli strumenti di una nuova relazione con la comunità, insieme a una ridistribuzione delle risorse, anche attraverso l’introduzione del bilancio partecipato. La ricchezza e la vivacità dell’associazionismo della nostra città, in ogni campo, vanno sostenute e integrate nel progetto civico generale, anche agevolando l’uso di spazi, creando luoghi di incontro in ogni quartiere e garantendo la massima permeabilità dell’ente locale, rovesciando la logica di chiusura, opacità e accentramento che ha distinto l’amministrazione Brugnaro.
Va poi rilegittimato e valorizzato il lavoro nella pubblica amministrazione, in particolare nel sistema comunale e nelle società connesse, che la giunta Brugnaro ha denigrato, impoverito, umiliato imponendo relazioni improntate a uno spirito padronale, oltre che ispirate da una visione miope e retriva del significato, del ruolo e degli obiettivi della pubblica amministrazione e di chi vi opera.

 

La città inclusiva

L’attuale amministrazione ha quasi vanificato la grande eredità di uno dei sistemi di welfare più qualificati ed efficaci d’Italia, com’era da decenni quello del Comune di Venezia, ora ridotto a una sorta di call center, che sterilizza e svuota il rapporto con gli utenti. Il risultato è, tra l’altro, che la nostra città è divenuta una delle capitali europee delle morti per eroina, testimoniando il fallimento delle politiche sociali e della stessa sicurezza della destra, che la continua propaganda non può occultare. Migliaia di soggetti fragili sono stati abbandonati per l’insufficienza e a volte il vuoto di politiche di prevenzione, di interventi mirati al sostegno e al recupero (con il silenzio e la complicità del Comune il personale competente e le risorse attribuite al SERD dalla Regione sono state ridotte al minimo storico). Noi pensiamo che la vera sicurezza si realizzi con una pluralità di interventi coordinati in cui primario è garantire servizi a bassa soglia gestiti da educatori e operatori (ne servono, oggi, almeno alcune altre decine sul campo) che stiano sulla prima linea del contrasto al disagio e all’inquietudine di molte persone, giovani e non solo, al degrado urbano e alla marginalità, integrando azione sociale e prevenzione con controllo e vigilanza.
Va recuperato il ruolo strategico del welfare urbano e rigenerativo, per la promozione del benessere della persona, che si deve basare su una competente lettura e interpretazione dei bisogni. A questa dovrà seguire la costruzione di progetti e servizi mirati alla qualità di vita e alle pari opportunità delle cittadine e dei cittadini. A partire dalle condizioni di fragilità, dai temi della residenzialità, della ricostruzione di una comunità educante per i giovani, dell’integrazione sociosanitaria.
Deve essere cura della nuova amministrazione promuovere e comprendere uno sguardo di genere sulla sua organizzazione sociale, sui tempi, sui luoghi, sui servizi, pensiamo all’accesso alla residenza per le donne sole, o sole con figli, ai servizi sanitari come al buon funzionamento dei consultori familiari. La pandemia ha fatto arretrare la vita delle donne, espulse per prime dal terreno del lavoro e ha aggravato il lavoro di cura familiare, rendendole ancora più esposte alla violenza di genere. Pertanto, l’attività dei centri antiviolenza come di assistenza alle vittime di tratta o di grave sfruttamento va valorizzata e incrementata, aprendone in ogni quartiere. È necessario un forte impegno per garantire l’accesso agli asili nido, rilanciare tutti i servizi per l’infanzia, oggi trascurati da questa amministrazione comunale, garantire spazi di pubblici di gioco per diventare una città a misura dei bambini.
Il medesimo sguardo la città dovrà dimostrarlo nei confronti dei giovani. Tutte le aree di questo comune devono ricevere la stessa attenzione e diventare luoghi accoglienti e curati e non rappresentare un fattore di disagio ed emarginazione, quindi, come è capitato in questi anni, anche di comportamenti aggressivi, distruttivi e autodistruttivi (tra i quali includiamo, insieme agli ovvii vandalismi o atti di bullismo o di violenza più spesso rilevati dalla pubblica opinione, anche la solitudine, le fragilità, la stessa dispersione scolastica che troppo spesso restano invece invisibili), che non sarebbe razionale inquadrare esclusivamente nei fenomeni criminali, anche di piccolo calibro, per quanto abbiano assunto anche tali valenze, proprio perché ignorati a lungo e lasciati cronicizzare dall’inconsistenza delle politiche dell’amministrazione. L’iniziativa e la volontà generativa per creare spazi di aggregazione, laboratori e progetti, per rilanciare la funzione educativa e scolastica, non dovranno provenire solamente dagli organi amministrativi ma coinvolgere attivamente gli stessi giovani, in un dialogo onesto e duraturo con chi è troppo spesso escluso dalle decisioni che la riguardano.
La scuola svolge un ruolo fondamentale nella formazione e nello sviluppo sia della comunità che della persona e quindi serve un grande disegno per rispondere alla questione educativa del nostro tempo e questo ci impone di non lasciar sola la scuola costruendo invece progetti di coinvolgimento e integrazione tra famiglia, scuola, sport e territorio. Emerge anche la necessità di promuovere percorsi sulla parità di genere, sull’affettività, sulla lotta alle dipendenze per dotare le ragazze e i ragazzi di quegli strumenti indispensabili per essere consapevoli e attivi in tutti i contesti di vita.

 

Un progetto per una città a più anime

La città di Venezia ha più anime che devono saper dialogare tra loro in reciproco sostegno e valorizzazione. C’è bisogno di cura, intelligenza, attenzione per ognuna delle parti. che costituiscono l’insieme. Se la città d’acqua necessita di una prospettiva culturale complessiva che parta dalla residenza stabile, da politiche pubbliche abitative e di stimolo all’insediamento di lavori innovativi e tutela di quelli tradizionali, legati alla vocazione anfibia e ai saperi in grado di riequilibrare la monocultura turistica, per la Terraferma è necessario riparare gli estesi danni degli anni recenti. Mestre ha vissuto negli ultimi anni una vera nuova “colonizzazione” alberghiera, un consumo di suolo e una cementificazione in esclusiva funzione di dormitorio low-cost per un turismo mordi e fuggi. Le scelte miopi di insediamento di centri commerciali intorno e a volte dentro l’area urbana, ne hanno svuotato il centro di funzioni commerciali di prossimità e di qualità e di vita sociale.
Il riequilibro deve partire dalla valorizzazione della sua posizione cruciale nel Nord-Est, baricentro dell’area metropolitana, oltre che di hub intermodale con un ruolo
strategico nella mobilità di persone e merci di questo territorio. Mestre può diventare a tutti gli effetti la cerniera economica in grado di tenere insieme l’area metropolitana.
Per questo, è necessario riconoscere e investire sul tessuto, a volte frammentato, di imprese piccole e medie, di start-up incentrate sull’innovazione, che ne rappresentano forse il volto meno noto. Occorre intervenire con investimenti sulla riqualificazione e rigenerazione residenziale del centro della terraferma, prendendo a modello l’originaria idea della “città giardino”, abbozzata nella vicenda della prima Marghera (e poi abortita subito sotto il regime fascista e del tutto tradita nel caotico sviluppo del dopoguerra, dominato, fino agli anni Sessanta avanzati, da una vorace speculazione), recuperare un disegno urbano in grado di valorizzare la componente ambientale e verde. Vanno altresì contrastate le speculazioni edilizie dei progetti in discussione per l’area della stazione ferroviaria come del complesso dell’ex Ospedale Umberto 1° (potenziale preziosissimo polmone verde e area per funzioni civiche e culturali, proprio nel cuore della città, oltre che sito di rilevanza storica, in cui insisteva il Castelvecchio, centro della Mestre più antica).
Va rimessa al centro da un lato l’opportunità di impiegare lo strumento dell’eco-bonus per un radicale intervento di riqualificazione e rigenerazione del patrimonio abitativo pubblico insieme agli stanziamenti approvati dal Governo per il Piano di Rinascita Urbana, dall’altro la messa in campo di un piano di social housing credibile. L’intervento diretto da parte dei Comuni rende fattibili le operazioni di social housing in quanto gli affitti debbono remunerare costi molto più contenuti e pertanto devono rimanere entro livelli sostenibili dai redditi medi, arricchisce il patrimonio pubblico e lo trasforma in una rendita nel lungo periodo.
Venezia e la sua terraferma possono trovare un filo comune nella valorizzazione e tutela della laguna, elemento caratterizzante, e dei corsi d’acqua come elemento di connessione forte tra area urbana e gronda lagunare. In questo contesto il Parco di San Giuliano è cruciale e va completato (attuando finalmente il previsto raddoppio in direzione delle barene di Campalto) e difeso dalle colate di cemento e dalla trasformazione in un centro di trasporto intermodale.
Gronda lagunare, Parco di San Giuliano, Parco Albanese e tutta la rete dei parchi cittadini insieme al grande Bosco di Mestre, ai Forti sono un grande patrimonio ambientale realizzato negli anni scorsi dalle giunte di centro sinistra che va difeso e ampliato.

 

Un progetto culturale di città

La povertà dell’offerta culturale, tutta rivolta allo sfruttamento turistico e a eventi di vetrina, ha mostrato tutto il suo portato negativo durante la pandemia. È perciò necessario invece rilanciare Venezia come capitale globale della cultura: della creatività, della ricerca, dello sviluppo di innovazioni e di saperi in diverse direzioni (arti, artigianato, restauro, scienze e nuove tecnologie), a partire dalla ricca presenza di Università, istituzioni pubbliche e private, musei e centri di ricerca. Stimolare nuove idee e alimentare conoscenze specialistiche, di alta qualità, in grado di attrarre giovani e investitori, protagonisti dell’economia della conoscenza e dell’informazione, creando occupazione qualificata, offrendo sostegno concreto per le imprese di questi settori (anche tramite agevolazioni fiscali). Serve dunque un Assessorato forte, di respiro internazionale, che dialoghi e interagisca con istituzioni e centri culturali della città, in questo progetto culturale condiviso volto a creare idee, innovazioni, capace di futuro. Poche cose dimostrano la piccineria e l’ottusità della giunta Brugnaro come la scelta di non avere un assessorato alla Cultura.
È inoltre opportuno rivedere il ruolo e la funzione della Fondazione Musei (MUVE), pur nel rispetto della sua autonomia istituzionale, cambiandone la prospettiva in una meno incentrata alla valorizzazione in senso turistico, e con una diversa gestione dei beni. Serve inoltre lavorare per una cultura diffusa, inclusiva e attiva, componente fondamentale della vita sociale: se va sostenuta tutta l’attività delle Biblioteche comunali, seriamente condizionata dall’attuale amministrazione, impedendo il trasferimento delle collezioni della Biblioteca Correr o altre dispersioni, è altresì fondamentale creare le condizioni affinché Mestre diventi un polo culturale aperto e articolato con una proposta che parta da VEZ, Teatro Toniolo, Candiani, Forte Marghera e dalle sinergie che possono derivare dalla collaborazione con M9, Università e Biennale oltre che con le tante strutture e attività presenti.
L’interazione delle scuole con la città, e in particolare con gli istituti museali, va perseguita con la riproposizione degli itinerari educativi, incrementando gli spazi della condivisione culturale, riportando nello spazio pubblico il cinema, il teatro, lo spettacolo dal vivo e la musica. Anche lo sport, grande motore di aggregazione, va rilanciato, sostenendo soprattutto le organizzazioni sportive professionistiche, dilettantistiche e amatoriali del territorio, mettendo a disposizione gli spazi pubblici di sua pertinenza con facilitazioni e incentivi di natura economica, semplificazioni burocratiche e progetti concreti e mirati.
C’è bisogno, sia per la città d’acqua che per quella di terra, di valorizzare il territorio, le sue valenze storiche e artistiche. Se per la città d’acqua ciò è necessario al di fuori di un uso che tende soprattutto a “consumarla”, per Mestre e le altre anime della città questa riscoperta è indispensabile. Mestre antica, romana e preromana (fino alle testimonianze preistoriche, non irrilevanti, ma da sempre trascurate), Mestre medievale, sono luoghi storicamente significativi, che la vorace modernità qui prodottasi ha sepolto e che invece vanno riscoperti, per dare profondità al presente, ricostruirne le radici preindustriali e quindi identificare la vera natura di questi luoghi di gronda lagunare ma aperti, da sempre, ai vasti traffici con l’entroterra e con l’Europa e, dunque, alle novità di ogni epoca. La novità preziosa di questa nostra epoca consiste anche nella riscoperta di queste radici, di queste lunghe linee di sviluppo dei processi storici, che non possono venire appiattiti sul presente di turno e in particolare sugli interessi miopi e venali che tendono a dominarlo. La valorizzazione di questa storia è parte fondamentale della rigenerazione urbana oggi necessaria, insieme alla raccolta delle testimonianze legate alle grandi trasformazioni lagunari e della terraferma nel ‘900.

 

Una pluralità di lavori

Il lavoro e l’economia della città non possono dipendere solo dallo sfruttamento intensivo del turismo, per lo più in condizioni di precariato, che ha lasciato nei mesi scorsi migliaia di addetti senza occupazione e aperto un vuoto di prospettive angosciante. È necessario coniugare e far convivere attività diverse. Vanno sostenuti tutti i “mestieri” legati alla manutenzione della città e all’artigianato di tradizione e di innovazione, prevedendo la defiscalizzazione per i redditi percepiti dai proprietari che affittano (assumendosi anche gli interventi di restauro) negozi e laboratori alle attività di artigianato e ai negozi di vicinato e incentivi mirati, anche utilizzando risorse comunitarie, per l’apertura di nuove attività.
L’Arsenale può svolgere un ruolo centrale nel rilancio delle attività produttive legate alla cantieristica minore e all’artigianato. Può anche diventare sede di un centro internazionale di documentazione/esposizione, ricerca e sperimentazione su nuovi materiali e tecniche di costruzione per realizzare imbarcazioni capaci di ridurre l’inquinamento, il moto ondoso e l’erosione dei fondali.
Per fare questo è necessaria una visione unitaria del complesso Arsenale e una sua piena accessibilità e transitabilità.
Va promosso il lavoro culturale e di ricerca favorendo l’insediamento a Venezia di nuove istituzioni nazionali e internazionali e di nuove attività che si occupino di conservazione e promozione dei beni culturali. La cultura della conservazione dello straordinario patrimonio artistico e monumentale può far diventare la nostra città centrale nel dibattito sui grandi temi della tutela, puntando a diventare sede primaria di ricerca, studio, sperimentazione anche nell’attuale discussione sull’ecosostenibilità, oltre che un’importante leva economica e di lavoro.
Va avviata una lotta al precariato a partire dai Musei Civici e dalle altre istituzioni dipendenti dal Comune dando un messaggio preciso della volontà amministrativa anche nei confronti delle forme di lavoro privato nei diversi settori.
Va favorito il ritorno delle nuove generazioni alle attività economiche legate alla terra con provvedimenti e iniziative concrete, mettendo a disposizione terreni pubblici e favorendo forme di microcredito per un’agricoltura, orticoltura e viticoltura biologiche e forme collettive di trasformazione e commercializzazione. Vanno definite norme adeguate relative all’itticoltura e alle altre attività alieutiche per garantirne la qualità e il rispetto dell’ambiente.
Nel loro insieme, le aziende partecipate, oltre a migliorare servizi ai cittadini, sono realtà economiche importanti che danno lavoro a migliaia di persone e che vanno valorizzate per il grande patrimonio di professionalità in un rapporto di confronto continuo con l’amministrazione comunale e con le municipalità per condividere e realizzare gli indirizzi, evitando il continuo rimescolamento delle nomine e pensando per gli incarichi un limite di mandati.
Vanno accelerati nel polo industriale di Porto Marghera, a partire dalla difesa delle produzioni già orientate verso la sostenibilità e l’innovazione, i processi di riconversione delle attività obsolete o nocive e le bonifiche dei terreni inquinati, per restituire in tempi certi e con risorse adeguate, spazi grandi e preziosi sia alle attività produttive, terziarie e logistiche, sia alla città. In questo senso, è necessario continuare la semplificazione normativa, lo snellimento di procedure e burocrazie, puntando quindi a tempestive risposte e a meccanismi snelli, sia pure rigorosi nel far rispettare le norme di trasparenza e i vincoli ambientali, incentivando gli investimenti oggi troppo spesso scoraggiati anche per la farraginosità e la lunghezza dei processi di verifica e autorizzazione.

 

LE GRANDI QUESTIONI

La tutela ambientale

Venezia, con le isole, i litorali, l’ecosistema lagunare, costituiscono uno straordinario patrimonio, esito di una vicenda millenaria di ricerca e mantenimento di un equilibrio tra ambiente naturale e opere del lavoro e dell’ingegno umano, un equilibrio alterato drammaticamente nell’ultimo secolo. Compito del nostro tempo è la ricostruzione di questo equilibrio considerando la tutela del patrimonio ambientale e storico come la base costitutiva di un progetto urbano sostenibile e di qualità, esteso alla che terraferma e alle connessioni d’acqua. Bisogna investire sulle opere di recupero morfologico della Laguna – a partire dal nuovo Piano morfologico atteso ormai da decenni – e impedire qualsiasi scavo di nuovi canali o ampliamento e approfondimento delle sezioni di quelli esistenti, tanto meno con opere fisse e pesanti di marginamento.
Indispensabile è mettere in campo i saperi disponibili grazie agli enti di ricerca presenti sul territorio, dal CNR-ISMAR all’Università e agli altri centri su mare e laguna, promuovendo Venezia come polo europeo per le conoscenze sui fattori di cambiamento ambientale. Anche i mestieri d’acqua sono risorse preziose perché conservano conoscenze e specificità della vita in questo peculiare contesto anfibio, e occorre sostenerne le attività e le professioni.
Si deve puntare, anche in sinergia con gli altri enti territoriali statali, regionali e metropolitani, a mettere in atto le necessarie misure di conservazione e valorizzazione della biodiversità lagunare (barene, velme, vali da pesca), sui litorali (dune e pinete) e nella terraferma (boschi, aree umide: questi ultimi anche rilanciando i Contratti di Fiume, abbandonati dall’attuale amministrazione, a cominciare da quello del Marzenego), anche perché proteggere le nostra aree naturali significa garantire depositi naturali in cui assorbire e immagazzinare CO2.

 

Il cambiamento climatico

Dobbiamo predisporre un Piano Clima che riconosca gli elementi di vulnerabili-tà (fisici e sociali) e indichi le trasformazioni necessarie a farvi fronte mantenendo la vivibilità urbana, sviluppando l’impegno costante per la diffusione di una nuova cultura intorno a questo tema. La pandemia ha evidenziato la necessità di aree verdi che consentano stili di vita più sani, rendano possibile la mitigazione climatica e il contatto quotidiano con ambienti meno inquinati. Va potenziata la piantumazione e sviluppata una nuova infrastruttura verde che comprenda il verde di prossimità, le aree boscate, i parchi esistenti, e quelli in via di creazione (come il parco del fiume Marzenego), le preziose aree di gronda e le aree agricole periurbane, raccordate tra loro da corridoi verdi e viali alberati. Il Piano Clima del Comune deve essere in grado di indirizzare e controllare l’azione delle sue partecipate, che possono esserne il braccio operativo sui temi dell’energia, della mobilità, dei rifiuti.
Inoltre, Venezia deve tornare tra le grandi città che affrontano la sfida epocale e globale della sostenibilità. Il nostro programma fa propri i 17 obiettivi dell’agenda europea 2030 per il nostro territorio con la consapevolezza che bisogna rispettare le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale e ambientale.

 

Il trasporto pubblico e la mobilità sostenibile

Ripensare la mobilità nel Comune e nella Città Metropolitana è diventato ancora più urgente dopo la pandemia. Anche prima dell’emergenza sanitaria la strada scelta dall’amministrazione Brugnaro era stata quella di incentivare l’uso dell’automobile le cui conseguenza per l’ambiente, la salute e la qualità della vita delle persone sono note. In controtendenza con i provvedimenti presi dalle principali città europee, aveva infatti riaperto le zone a traffico limitato alla libera circolazione delle automobili. Durante i tempi supplementari concessi dallo slittamento della data delle elezioni, la giunta ha predisposto nuovi parcheggi scambiatori a ridosso del centro di Mestre, con conseguente aumento del traffico di attraversamento della città, in aree delicate dal punto di vista storico e ambientale come quelle a fianco di Forte Marghera, ha autorizzato l’ampliamento del Garage San Marco, disattendendo la scelta di alleggerire la pressione del traffico privato e turistico su Piazzale Roma.
I parcheggi scambiatori già esistenti devono servire invece a decongestionare il traffico nei centri abitati. Brugnaro si è dimenticato di essere Sindaco della Città Metropolitana, il futuro Sindaco dovrà invece elaborare un grande piano della mobilità pubblica e privata che coinvolga tutti i comuni dell’area integrando le diverse forme di mobilità e riqualificando le stazioni ferroviarie come luoghi accoglienti, accessibili e funzionali, collegandole alla rete delle linee pubbliche così come i parcheggi ora semivuoti realizzati in prossimità dei confini comunali.
È indispensabile garantire la distanza di sicurezza sui mezzi pubblici fin quando sarà necessario per ragioni sanitarie. La funzione del servizio pubblico non può essere parametrata sul semplice rapporto costi ricavi; l’attenzione al bilancio non può essere l’unica preoccupazione; va invece predisposto un piano cittadino della mobilità.
Al contrario, in questa estate, i mezzi ACTV sono progressivamente tornati, specie in alcune fasce orarie, ai livelli di affollamento pre-Covid. Questo non è accettabile.
Vanno introdotte sperimentazioni verso la “città di prossimità”, con negozi e servizi essenziali distribuiti sul territorio, facilmente raggiungibili a piedi o in bicicletta. In questo senso va ridato un ruolo ai Centri Civici, ora sottoutilizzati se non chiusi, e agli altri ser- vizi territoriali dismessi in questi anni.
Il trasporto pubblico deve assicurare eguali diritti alla mobilità a chi vive nei centri, nelle isole, nei quartieri periferici e nei Comuni limitrofi e deve rispondere alle necessità delle donne rispetto all’accessibilità dei luoghi e alla sicurezza dei percorsi.
Vanno eliminate le barriere architettoniche nelle fermate del trasporto pubblico come nei collegamenti pedonali così come negli edifici e sale aperte al pubblico.
Va incentivato l’uso e la cultura della bicicletta estendendo le piste ciclabili di collegamento e il bike sharing; va garantita maggiore sicurezza sia ai ciclisti che ai pedoni, spesso vittime di gravissimi incidenti.
Va incrementato il trasporto su ferrovia avviando una trattativa con la Regione che porti alla ripresa del progetto del Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale colpevolmente abbandonato dall’attuale governo regionale e all’introduzione di una reale bigliettazione unica ACTV–Trenitalia.
Va realizzato il collegamento con l’aeroporto di Tessera con un prolungamento ferroviario o tramviario in superficie senza ricorrere a un progetto devastante e costoso come quello del “cappio” e della stazione sotterranea.
Va estesa l’elettrificazione degli autobus e incentivata la ricerca e la sperimentazione di mezzi acquei meno inquinanti e che producano minore moto ondoso; questo obiettivo pretende anche la razionalizzazione della distribuzione delle merci attraverso un’apposita stazione intermodale per ridurre il numero dei natanti in circolazione e un controllo efficace dei limiti di velocità. Va ridotto l’insostenibile affollamento di Piazzale Roma con corse del trasporto pubblico locale anche sui terminal del Tronchetto e di San Basilio e un adeguato inter- scambio con le linee di navigazione.

 

La salute come bene comune

La pandemia ci ha indicato la necessità di riconsiderare i valori primari dell’esistenza. La salute è un bene comune. È diritto alla cura, ma anche alla prevenzione e al godimento di un ambiente sano a cominciare dai biomonitoraggi (come quello sul latte materno e sulla presenza in esso di diossine e metalli pesanti, indice even- tuale dell’impatto di impianti nocivi, come certi stabilimenti chimici, come la centrale a carbone, come gli inceneritori, come quello che si vorrebbe ora riaprire e potenziare, sulla fisiologia umana), biomonitoraggi che sono, appunto, indici sensibili del grado d’inquinamento di un territorio, favorendo stili di vita capaci di prevenire malattie come l’obesità o i problemi respiratori e cardiocircolatori.
L’Amministrazione deve prodigarsi per difendere i presidi ospedalieri sia in città d’acqua, che nelle isole, che in terraferma e ampliare i servizi ambulatoriali al cittadino, rafforzare i presidi sul territorio. In questo contesto rientra l’annosa questione dell’ex Ospedale al Mare del Lido. Condividiamo la determinazione degli abitanti di opporsi alla demolizione del Padiglione Rossi (Monoblocco) e di chiedere il potenziamento dei servizi sociosanitari. Ma le caratteristiche dell’area e la sua collocazione, rafforzate dall’effetto che la pandemia sta producendo sui mercati immobiliari legati al turismo, permettono la realizzazione di un progetto più ambizioso di un vero centro per la salute che non solo garantisca le funzioni del distretto, ma anche preveda strutture riabilitative attualmente assenti sul nostro territorio, che potrebbero richiamare anche un “turismo sanitario” extraregionale e internazionale. Progetto che creerebbe posti di lavoro stabili.
Occorre costruire una città consapevole dell’importanza della salute come bene collettivo e riattivare la Consulta comunale, organo propositivo e portavoce diretto delle esigenze territoriali. Venezia vive, come le grandi aree metropolitane, le dinamiche di un progressivo invecchiamento della popolazione residente. Per fronteggiare questo fenomeno va assicurata alle persone una qualità della vita dignitosa: questo significa rimettere al centro il principio dell’integrazione sociosanitaria a partire dalla scelta strategica della domiciliarità e della residenzialità. Vanno garantiti i livelli essenziali delle prestazioni sociali a tutti i cittadini con il pieno esercizio da parte del Comune delle proprie competenze. Vanno inoltre garantite dimissioni protette dai luoghi di cura.

 

Il Mo.S.E.

Gli ultimi anni a Venezia sono stati caratterizzati dal “gigantismo” nelle più diverse accezioni: la grandi opere, le “Grandi Navi” in Laguna, lo sviluppo del gigantismo aeroportuale senza controllo. Devono, quindi, essere evitate le opere inutili e potenzialmente pericolose.
Quanto al Mo.S.E., non è accettabile che a fronte delle pesanti criticità emerse, sia stato emanato un nuovo bando per la ricerca, sviluppo e fabbricazione dei gruppi cerniere-connettore delle paratoie presso le bocche di porto di Malamocco, Chioggia, San Nicolò e Treporti, con un tempo previsto per l’esecuzione dei lavori di 3650 giorni. Se il sistema delle dighe mobili è in queste condizioni, anzichè programmare altri 10 anni per portarlo a regime è ben, prima di procedere con i lavori, affidare a tecnici indipendenti un’approfondita verifica sulla validità e sulla funzionalità dell’o- pera anche alla luce delle previsioni sull’innalzamento del livello medio del mare e l’incremento delle maree accertate successivamente alla originaria fase di progettazione del Mo.S.E. a seguito dei mutamenti climatici in atto. Bisogna invece investire sulle opere di recupero morfologico della Laguna.
E’ un passo positivo il decreto che istituisce l’Autorità per la Laguna, che può recuperare una visione sistemica della salvaguardia di Venezia attraverso il piano generale degli interventi e può rappresentare l’infrastruttura necessaria per affrontare la vera sfida della difesa della Città nel nuovo contesto creato dai cambiamenti climatici. In sede di approvazione del decreto e con un confronto locale vanno separate le funzioni di gestione e controllo, il rapporto tra questa Autorità e quella di Bacino Idrografico.
E’ bene ribadire che, proprio perché la salvaguardia di Venezia è di preminente interesse nazionale l’autorità dovrebbe far capo alla Presidenza del Consiglio.

 

Le Grandi navi

Le grandi navi da crociera non possono e non devono continuare a navigare nei canali della laguna, come dimostrano il moto ondoso provocato dal transito,, le emissioni di sostanze nocive e acustiche gli incidenti accaduti o sfiorati in Bacino di San Marco e in Canale della Giudecca e i ripetuti episodi di alto rischio industriale accaduti anche recentemente che dovrebbero sconsigliare dall’ipotizzare di spostare a Porto Marghera la stazione marittima e quindi il transito delle grandi navi.
In attesa di trovare e attuare una soluzione definitiva per l’approdo di tali navi, che non può che scaturire da un confronto paritario tra i diversi progetti, compresi quelli che estromettono dalla laguna le navi maggiori, i Ministri delle Infrastrutture e dell’Ambiente possono con proprio decreto sospendere il transito nel Bacino di San Marco e nel Canale della Giudecca delle navi adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori a 40.000 tonnellate di stazza lorda. Non abbiamo alcuna intenzione di contrapporre le ragioni dell’ambiente a quelle del lavoro (né viceversa, come invece fanno molti fautori della presenza delle grandi navi in laguna, a cominciare dal sindaco Brugnaro) né di indugiare semplicemente per perdere tempo mettendo a rischio il porto.
A metterlo a rischio è invece chi decide di sostenere proposte sbagliate. Chi, ad esempio, ha bloccato l’attuazione del Clini – Passera solo per difendere lo status quo, cioè le navi nel cuore di Venezia. Chi, poi, ha sostenuto il Contorta, che bastava appena conoscere la laguna per capire che non avrebbe mai potuto essere approvato da organi tecnici appena adeguati. Chi, dopo, ha sostenuto che andava scavato il Vittorio Emanuele per far arrivare le grandi navi in Marittima per quella via. Chi ha proposto il canale dietro la Giudecca. Anni persi a discutere di ipotesi distruttive dell’ecosistema già a prima vista.
Ora la stessa sorte riguarda Marghera. Collocare una stazione marittima in mezzo a impianti e depositi pericolosi, scavando e allargando canali, sottraendo spazi in favore della monocultura turistica a scapito dell’industria e del terziario (che dell’invasiva monocultura turistica dovrebbero essere un contrappeso e un antidoto) e creando ulteriori difficoltà al porto commerciale (le navi da crociera hanno la precedenza nel transito), significa far perdere altri anni inutilmente. In attesa del prossimo progetto.
Ciò che serve davvero, non sono analisi una dopo l’altra, un anno dopo l’altro, dei progetti, bensì una comparazione simultanea – entro pochi mesi – tra tutti i progetti in campo e quindi una scelta strategica e chiara, in base al vincolo che non si scava e non si colpisce ancora l’ecosistema lagunare.
Nell’anno della pausa forzata da Covid bisognerebbe accelerare in questo senso, con una valutazione tecnica comparata e risolutiva. Penso che la scelta non possa che cadere tra quelle che ipotizzano una soluzione alle bocche di porto, almeno sul medio periodo, e che tuttavia vada pensata una scelta più radicale, con la soluzione off-shore che riguardi anche le maggiori portacontainer. Soluzioni transitorie hanno senso solo in questa prospettiva.
In ogni caso va avviata la transizione, uscendo dal conflitto tra ambiente e lavoro come è finalmente possibile.

 

Il turismo

La pandemia ha dimostrato i limiti della monocultura turistica e la necessità di uscire dall’attuale crisi, che ha ripercussioni drammatiche per i lavoratori, senza ritornare alla situazione precedente, insostenibile per la città d’acqua ma con effetti negativi anche per ampie zone di Mestre. Si pensi alla diffusione delle affittanze turistiche che hanno avuto una crescita esponenziale specialmente nel biennio 2017-2018.
Il turismo deve essere governato non con espedienti di pura facciata, peraltro mai entrati in funzione, quali i tornelli conta persone o la cosiddetta “tassa di sbarco”.
È indispensabile prima di tutto avere chiara la direzione, definire la soglia di carico e puntare a un contenimento del numero complessivo dei visitatori. È un compito non facile da attuare, anche perché la crescita esponenziale del numero dei turisti alla quale abbiamo assistito è risultato di una tendenza a scala globale, che vede in campo molteplici attori e necessita di interventi ai diversi livelli decisionali.
Ma l’amministrazione comunale può, deve, mettere in atto alcuni dispositivi: definire una soglia di carico, introdurre un sistema di prenotazione obbligatoria a partire dai gruppi, stabilire il blocco dei cambi di destinazione d’uso e di aperture di nuovi alberghi sul tutto il territorio comunale.
Valutare l’inserimento, nella legislazione speciale, del vincolo delle affittanze turistiche ad una licenza rilasciata solo a cittadini residenti nel Comune di Venezia e prevedere incentivi per i privati che affittano ai residenti. Così facendo, moltissimi appartamenti oggi utilizzati solo a fini di rendita uscirebbero, sgonfiandolo, dal mercato turistico, e sarebbero nuovamente disponibili per il mercato dei normali fitti da locazione.
Contemporaneamente si deve incentivare un turismo che prolunghi la permanenza in città per più giorni, rispetti la specificità di Venezia e della Laguna, ne accetti tempi e modalità di spostamento, favorisca un lavoro più sicuro, meglio retribuito, con maggiori tutele e più qualificato. Va introdotta un’efficace lotta al lavoro nero, all’evasione fiscale e contributiva e alle forme di contratto precarie che caratterizzano questo settore.

 

Porto Marghera

La vocazione industriale di Porto Marghera, le sue aree, il porto commerciale, i “distretti” che vanno formandosi, sono un patrimonio per la nostra città e devono continuare a rappresentare una grande questione nazionale per il futuro manifatturiero del Paese. Senza connessione con le politiche industriali e portuali nazionali, un’area delle dimensioni, della complessità, del valore strategico di porto Marghera rischia di non avere le risorse e le condizioni legislative e materiali per tornare a svolgere, per tutto il paese, il ruolo che storicamente ha ricoperto e che è in grado di ritrovare pienamente dopo lunghi anni di incertezze e difficoltà (dovute anche ai limiti delle politiche nazionali e della legislazione, si pensi solo alle farraginosità delle normative sulle bonifiche, questione cruciale per il risanamento e il rilancio dell’area).
La città può dotarsi di un progetto strategico che traguardi oltre il binomio cultura-turismo (che va in ogni caso regolato e contemperato) e che non può non avere altro destino che le capacità produttive che il green new deal potrà attivare. Un progetto strategico di lungo respiro e periodo che, se da un lato deve porsi l’obiettivo di rendere la nostra città completamente sostenibile, dall’altro la conformi come città delle produzioni e della ricerca green.
Porto Marghera può divenire il più grande incubatore europeo per le industrie della filiera green e, utilizzando arre ed edifici dismessi può ospitare impianti di energia rinnovabile a cominciare dal fotovoltaico. In effetti porto Marghera ha tutto ciò che necessita: le aree, l’accessibilità, le reti, la cultura industriale, finanche un retroterra universitario che si è consolidato in terraferma.
Le differenziazioni delle diverse attività esistenti, il loro rafforzamento, gli incentivi agli investimenti volti a migliorare l’efficienza dei processi, la qualità ambientale e l’innovazione dei prodotti sono un fattore determinante per l’oggi e per il domani e per attrarre nuovi insediamenti industriali di produzione, di ricerca insieme all’istituzione già approvata della Zona Logistica Semplificata la quale, oltre che per l’area di terraferma, può essere un volano efficace anche per il rilancio produttivo del vetro artistico di Murano, per le attività agricole peculiari di Sant’Erasmo e per quelle artigianali e della pesca di Burano.
È questo il miglior antidoto a intenti speculativi sulle aree verso destinazioni che non siano quelle compatibili con il tessuto industriale e chi amministra la nostra città non può avere anche solo l’ombra di un conflitto di interessi.
Permangono tuttavia questioni irrisolte e incertezze che necessitano di una grande azione delle istituzioni e di una mobilitazione sociale per la chiusura definitiva della questione bonifiche e della verifica degli scarichi industriali in acque lagunari che vanno definitivamente intercettati;
la qualità e la sostenibilità di nuovi investimenti derivanti dal riconoscimento di area di crisi complessa;
Il passaggio alla “chimica verde” basata non più su materie prime fossili ma su biomasse non alimentari e il conseguente sviluppo di un polo tecnologico integrato della nuova chimica come era previsto nel protocollo d’intesa del 11 novembre del 2014, di cui c’è troppo scarsa traccia negli investimenti annunciati ancora di recente.
Tutto questo richiede anche metodi di confronto che rispettino la pluralità e la diversità, il peso e il ruolo delle parti sociali, il protagonismo dei cittadini per una unità di intenti e condivisione degli obiettivi assicurando prospettive e qualità per nuova occupazione, insediamenti esistenti e nuovi che siano ambientalmente sostenibili. In questa prospettiva, e anche per le conseguenze immediate che avrebbe sull’ambiente e sulla salute, l’ipotesi di realizzare un nuovo inceneritore a Fusina, sovradimensionato, di alto impatto, per i rifiuti e per i fanghi, rappresenterebbe anche una scelta sbagliata e regressiva rispetto all’investimento finora operato in un ciclo virtuoso dei rifiuti (riduzione a monte, raccolta differenziata, filiere certificate dei materiali raccolti e trattati, riciclo, riuso, minimizzazione del ricorso a discarica e chiusura dell’inceneritore di rifiuti urbani nel 2014), scelta peraltro compiuta in assenza di un vero confronto con le comunità interessate e con i comitati e le associazioni attive sul territorio.
Venezia è crocevia da sempre di reti infrastrutturali che collegano l’Europa e l’Oriente. Il porto commerciale richiede con urgenza un nuovo piano regolatore che ne garantisca l’accessibilità, gli escavi di manutenzione dei canali e dei bacini di evoluzione, il potenziamento delle infrastrutture ferroviarie, stradali e una struttura di porto off shore.
È evidente, altresì, che per intercettare il traffico marittimo della “Via della Seta” vanno fatti interventi infrastrutturali adeguati e sviluppato un sistema interregionale che crei un sistema logistico integrato d’infrastrutture e servizi per l’intero Nord-Est.
È in tale ottica che risulta insufficiente e parziale aver istituito l’Autorità di sistema portuale di Venezia e Chioggia, serve invece una unica Autorità di sistema dell’alto Adriatico.

 

Ecomafie, economia e crimine organizzato

La presenza di realtà mafiose e di organizzazioni criminali, italiane, nostrane comprese, e straniere, non può essere ridotta al pur preoccupante e rilevante ambito del narcotraffico e dello spaccio di droga o in settori contigui (prostituzione, estorsioni, criminalità di strada). Occorre monitorare con rigore e attenzione quanto accade nel mondo degli appalti in diversi settori (nell’industria come nei servizi e nel commercio), soprattutto dopo che la pandemia ha colpito duramente molti comparti (in una fase già successiva alla lunga crisi avviata sul finire dello scorso decennio). Vi sono segnali molto precisi della conquista, a colpi di denaro fresco ma altrettanto sporco, di esercizi commerciali, settori economici, attività diverse, anche a causa della difficoltà di accedere al credito per molti soggetti indebitati e già in condizioni precarie. Altrettanti segnali giungono dagli appalti.
Il denaro sporco scaccia quello di origine legale, e la possibilità di offrire servizi a basso costo, manodopera compresa (spesso in stato quasi di servitù) rendono ecomafie, narcotrafficanti e organizzazioni criminali (comprese quelle nostrane, a partire dalla mala del Tronchetto e da altri filoni provenienti dalla ex “mafia” del Brenta) assai temibili in questa contingenza socioeconomica e storica.
Questi movimenti vanno dunque monitorati assiduamente, in stretto rapporto con la magistratura e le forze dell’ordine e con ricercatori e istituti che ne studiano l’evoluzione, reistituendo l’Osservatorio Ecomafie – Ambiente e Legalità che l’amministrazione Brugnaro, appena insediatasi, ha pensato male di chiudere dopo quattro anni di proficuo lavoro.

 

Dignità e centralità della “macchina pubblica democratica”

È, infine, quanto mai opportuno ribadire che un progetto alternativo per il governo della città pretende la ridefinizione – a misura della specificità di Venezia – delle funzioni e dei compiti della Città Metropolitana, degli organi periferici dei Ministeri, della consistenza e della qualità del sistema ospedaliero e, nel contempo, la ricostruzione delle pratiche di partecipazione, controllo e governo dal basso dell’Amministrazione Comunale e della sua macchina pubblica democratica.

 

La città e il mondo che abbiamo in prestito

È viva la richiesta dei cittadini di non subire scelte calate dall’alto, come è fortissima la necessità di rimettere in moto la macchina comunale partendo dai lavoratori del Comune di Venezia ai quali va restituita la dignità di cui sono interpreti valorizzandone competenze e professionalità, gli strumenti principali per rispondere alle attese, ai bisogni e alle speranze dei cittadini e delle cittadine di ogni generazione, rispettando il diritto delle generazioni future ad avere in eredità in condizioni migliori la città, il mondo, che noi abbiamo soltanto in prestito.